È stata la volta delle discussioni dei difensori nel processo che si sta celebrando a Catanzaro per il duplice omicidio di Pasquale Izzo e Giovanni Molinaro uccisi a colpi di pistola il 6 dicembre del 2000 in un bar su via del Progresso e che vede alla sbarra Aldo Notarianni, Giovanni “Gianluca” Notarianni, Antonio Villella, Vincenzo Torcasio e Pasquale Gullo, tutti esponenti delle cosche Giampà, Torcasio e Cerra, ora divise ma una volta alleate.

Dopo le richieste del pubblico ministero nella scorsa udienza (20 anni per Gianluca Notarianni, 30 per gli altri) sono cominciate le arringhe difensive. E proprio Gianluca Notarianni ha ammesso di aver partecipato all’omicidio. L’imputato 46enne ha, infatti, inviato una lettera dal carcere nella quale si è assunto la responsabilità di quanto gli viene contestato: secondo la ricostruzione degli inquirenti, il suo ruolo sarebbe stato quello di recuperare i due killer e, dopo aver incendiato il mezzo utilizzato per l’omicidio, anche di scortarli lontano dal luogo del delitto. Il suo avvocato ha chiesto, quindi, il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e quella della minima partecipazione. Per quanto riguarda Antonio Villella e Vincenzo Torcasio, l’avvocato Gianluca Careri ha contestato “l’attendibilità dei collaboratori che accusano gli imputati” e, in particolare, ha evidenziato “le divergenze dichiarative di Giuseppe Giampà e di Angelo Torcasio” chiedendo l’assoluzione per i suoi assistiti, così come l’avvocato Antonio Larussa per Pasquale Gullo. Il difensore ha contestato “alcune imprecisioni dei collaboratori sul luogo delle riunioni, le persone e i motivi di astio” e ha depositato una sentenza della Cassazione sulla posizione di Gullo.

I cinque arresti per gli imputati, in qualità di mandanti, esecutori e partecipi dell’omicidio, sono scattati a dicembre dell’anno scorso. Gli inquirenti hanno ricostruito le dinamiche interne alle cosche lametine e che hanno portato all’omicidio e hanno fatto quadrato intoro sul delitto grazie anche ai collaboratori.

Come hanno ricostruito dall’accusa le tre famiglie (Giampà, Torcasio e Cerra) volevano vendicare la morte di Giovanni Torcasio (classe ‘64), e avrebbero organizzato così, in diverse riunioni, il da farsi: i capi della cosca di ‘ndrangheta Cerra-Torcasio-Giampà di Lamezia, si incontrarono insieme ad alcuni degli affiliati più rappresentativi della cosca, tra i quali figuravano Aldo Notarianni, Giuseppe Giampà, Giovanni Notarianni, Antonio Villella, Pasquale Gullo e Vincenzo Torcasio, per decretare l’omicidio di Izzo, ritenuto affiliato all’avversa cosca Iannazzo, dando mandato per l’esecuzione ad Aldo Notarianni, Maurizio Giampà, Giuseppe Giampà, Antonio Villella e Giovanni Notarianni detto “Gianluca”. A cadere sarebbe dovuto essere solo Izzo: si è ipotizzato infatti che Giovanni Molinaro fu ucciso per “errore”, un solo colpo per lui fu fatale. Il killer è stato identificato in Aldo Notarianni, che entrò nel bar su via del progresso con il volto coperto da un passamontagna, mentre i due stavano bevendo al bancone. Notarianni sarebbe stato accompagnato sul posto dal defunto Maurizio Giampà, che guidava la macchina, recuperata da Antonio Villella. Quella stessa sera, dopo la sparatoria, in contrada Lagani, fu ritrovata un’auto, una Fiat Uno grigia, completamente bruciata al cui interno la polizia scientifica ritrovò un revolver calibro 38 e un fucile calibro 12 con matricola abrasa, nonché cinque fondelli di proiettile, il tutto danneggiato dal fuoco. Più tardi si scoprì che quella stessa auto era stata rubata il giorno precedente a Falerna.

Il processo, che si sta celebrando con rito abbreviato davanti al giudice distrettuale di Catanzaro, il Gup Barbara Saccà, riprenderà a dicembre: concluderanno le arringhe difensive gli avvocati Francesco Gambardella e Stefania Rania.

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