Presentato a Palazzo Staglianò, alla presenza dell’autore, il romanzo di Felice Foresta “Il Faggio che sposò la Luna”. Una iniziativa promossa dall’amministrazione comunale, in collaborazione con la Consulta comunale della Cultura. Ha introdotto i lavori il  vicesindaco, Pina Rizzo, sottolineando il percorso tracciato già da un anno, a Chiaravalle Centrale, per la valorizzazione degli autori calabresi e per stimolare momenti di incontro culturale, intesi come motore di crescita civile e sociale della comunità. Un progetto che si ricollega anche al rilancio della Biblioteca comunale, in fase di riavvio imminente. Le relazioni sul libro sono state tenute da Francesco Pungitore e Teresa Tino, rispettivamente presidente e segretaria della Consulta comunale della Cultura. “Il Faggio che sposò la Luna” segna l’esordio letterario di Felice Foresta, giovane e affermato avvocato di Catanzaro, che affronta un viaggio dell’anima tra le emozioni, i luoghi e le tradizioni di una Calabria che l’autore dimostra di amare profondamente. Uno degli aspetti peculiari, più rilevanti del libro, forse è proprio questo: il desiderio di trasmettere l’immagine della Calabria “vera”, diversa dai cliché diffusi da una certa narrazione e da una certa cinematografia, inclini a focalizzare l’attenzione più sulle ombre che sulle luci di questa nostra terra. Una Calabria, dunque, raccontata fuori da ogni stereotipo, “bella e dura così com’è” (parole dello stesso autore). Un romanzo, peraltro, molto apprezzato sia dal pubblico che dalla critica, tanto da vincere per la sezione inediti, il premio “Prospektiva 1.0” a Lucca e da meritare una  segnalazione speciale al Premio “Gaetano Cingari” di Reggio Calabria. Felice Foresta parla della Calabria attraverso il filtro dei suoi ricordi di fanciullo. E lo fa fissando dei simboli, degli archetipi che segnano il perimetro del suo racconto, rendendolo ricco, affascinante, suggestivo e avvincente. Quali simboli? La luna, innanzitutto, la grande madre che veglia sui cicli della natura: dalle produzioni agricole (l’olio, il vino) fino al travaglio delle partorienti. E poi la figura del padre, che indica la strada giusta da seguire. Il pane, che rappresenta l’unione tra cielo e terra. Il protagonista, Giancarlo, troverà la strada proprio grazie al ricordo del padre e al valore simbolico del pane, “che è pane di vita, pure quando è coriaceo nella sua durezza”. C’è tanta ispirazione, quindi, in queste pagine. C’è il richiamo dichiarato ed evidente ad un grande della letteratura, che è Corrado Alvaro. C’è, infine, l’umanità del protagonista del romanzo, raccontata con altrettanta e forte umanità dall’autore.

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